Sul mare di Kaulon tra fiumare e antiche vestigia rivista Calabria ottobre 2002


Uno dei luoghi più affascinanti, per il sapore di mito che lo avvolge, è la spiaggia dell’antica Kaulon, odierna Monasterace, dove si trovano i resti del tempio dorico, dedicato forse al culto di Apollo; tempio che finalmente adesso stanno recuperando, e infatti hanno costruito anche un piccolo museo per conservare i numerosi reperti. Ricordo che, fino a qualche anno fa, quando andavo a fare il bagno nel mare antistante il tempio, era una desolazione; e dire che al nord d’Italia e d’Europa se rinvengono anche un’unica pietra ci costruiscono intorno un parco e lo chiamano archeologico. Il mare lì davanti è pieno di resti di colonne che, per mancanza di fondi (ma perché gli altri i fondi li hanno e noi no?), resteranno nell’acqua per chissà quanti altri secoli. Uno dei custodi del museo ci ha spiegato che ogni pezzo di colonna tolto al mare deve poi rimanere per un anno in una vasca con acqua corrente in modo da eliminare ogni residuo salino che, altrimenti, continuerebbe a smangiarlo. Tutti procedimenti indubbiamente costosi, però, se la ricerca continuasse il ritorno in immagine e turismo sarebbe per la Calabria gran cosa.
Sempre a Monasterace, nelle vicinanze del tempio, si trova una ricca abitazione, risalente al III secolo a. C., chiamata “la casa del drago” perché era ornata da mosaici, uno dei quali raffigurava un drago marino, oggi conservato al Museo Nazionale di Reggio. Il drago è bellissimo, formato da piccole tessere di pietra, colorate di rosso, viola, verde e ocra; in genere, nella cultura greca il drago era un simbolo impuro, ma a volte acquistava un significato positivo, e infatti si trova anche raffigurato insieme a Démetra, dea della vegetazione e dell’agricoltura.
Con la mia amica Simona ritorniamo sulla statale e imbocchiamo il bivio per per Stignano. Pochi chilometri prima dell’abitato, in contrada Scinà, appare in tutta la sua settecentesca maestosità la villa Càristo (dal nome dei proprietari), con la facciata impreziosita da due eleganti scalinate laterali. Nel grande e rigoglioso parco, che nel passato l’attorniava, rimangono poche piante, a causa dei continui incendi; anche delle numerose statue che lo impreziosivano si può ammirare soltanto un unico gruppo marmoreo.

Preseguendo nel nostro itinerario, saliamo all’odierna Caulonia (in passato Castelvetere, e infatti Edward Lear nel suo Viaggio in Calabria la ricorda con questo nome e come un luogo che “ha qualcosa di grandioso e classico da qualunque lato si guardi”), che ha una vasta e bellissima marina. Caulonia potrebbe essere un delizioso borgo, situata com’è su una rupe che s’innalza su un magnifico paesaggio, se non fosse per il centro storico abbandonato e per le stradine mal pavimentate, rappezzate con colate di cemento a chiazze. Vecchie case sventrate accompagnano la nostra passeggiata tra vicoli, scalette, bei portali in pietra e caratteristiche fontanelle pubbliche, con l’acqua che fuoriesce dalla bocca di teste appiattite di drago dal muso allungato e arrotondato; un particolare quest’ultimo che non deve stupire se si pensa al mosaico del drago. Anche del castello normanno, che sorge alla sommità del paese, restano ormai poche mura, così come della chiesetta di S. Zaccaria rimane solo l’abside con un bell’affresco bizantino, in un deplorevole stato di conservazione. Lo sguardo si ristora arrivando in piazza Mese, con il bel palazzo Cricelli, la settecentesca chiesa della Badia e la chiesa Matrice. Da ricordare sono le funzioni religiose che si svolgono in questa piazza nel periodo della Quaresima, e in particolare i riti della Settimana Santa, tra i quali: la “Bussata”, la “Svelata”, e le processioni “Gira e “Chiamata”.

Tutto il territorio di Caulonia è bellissimo; per chi ama camminare ci sono le fiumare Amusa e Allaro, e risalendo quest’ultima ci si può avvicinare a una delle sue sorgenti, la stupenda “Gurna Nigra”. Le origini di Caulonia sono sconosciute, e del suo passato storico non rimangono molte testimonianze, ma il paese è famoso per un episodio che caratterizza la sua storia contemporanea: nel marzo 1945, migliaia di abitanti del paese e delle campagne, e altri provenienti dai paesi vicini, fondarono la “Repubblica Rossa di Caulonia”, con a capo Giuseppe Cavallaro. Riuscirono a resistere per cinque giorni, poi Cavallaro e i suoi sostenitori vennero arrestati; questo carattere politicamente combattivo risorge in occasione delle elezioni che qui vengono vissute con passione, al contrario di come avviene ormai nelle disaffezionate città.
Per visitare questi luoghi stupendi, bisogna attraversare Roccella Jonica, una festosa cittadina, in estate piena di turisti che l’affollano per la bella spiaggia e per il raffinato festival di jazz che richiama artisti di fama da tutto il mondo. Sovrastano Roccella i ruderi dell’antico castello, una volta inespugnabile fortezza contro gli assalti dei pirati, poi abbandonato per lungo tempo, e adesso in via di ristrutturazione. Di Roccella nel passato era rinomata la salubrità dell’aria, ma oggi, tralasciando il traffico estivo, in qualunque parte dell’anno vi troverete immersi nel traffico normale, reso caotico dai Tir che intasano la stretta strada nazionale avvelenando l’aria con i loro gas di scarico. La situazione migliorerà quando saranno superati i problemi tecnici che bloccano la costruzione della nuova statale 106; problemi sorti da circa un decennio e non ancora risolti, ma “finché c’è vita c’è speranza”.

Vorrei concludere questa breve gita sulla jonica con una considerazione: da decenni continuiamo a piangerci addosso per la mancanza di lavoro, e parliamo dell’emigrazione che negli anni Sessanta ha svuotato interi paesi senza accorgerci che l’emigrazione non si è mai interrotta, ha soltanto cambiato forma; mentre prima partivano intere famiglie, adesso i genitori restano, ma i figli se ne vanno, alcuni come sempre a fare gli operai, molti a svolgere lavori di livello più alto. E così l’impoverimento culturale e fisico della Calabria continua.

Siamo ricchi di storia e di cultura, e la Jonica possiede anche un microclima terapeutico: tesori che giacciono inutilizzati per la nostra inefficienza, indifferenza, litigiosità e sconsideratezza.

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