A Gina Calabria Sconosciuta n.76


Forse è quest’aria tersa del dopo temporale, che ferma l’immagine in trasparenze lievi, quasi lo Stretto fosse un ricordo stampato in cartolina -evento che non muta su carta in filigrana di memoria- o forse è questa lunga nuvola, che cinge bianca i Peloritani, corona sospesa sulle case di Messina, da dove spunta a tratti qualche cima in un capriccio di orgoglioso bruno, ma torna d’improvviso il bisogno di renderti partecipe, di dirti:
“Guarda, vedi come laggiù sfuma il contorno in un vapore vago? Sale dal mare oppure semplicemente piove in lontananza, non so, lo sguardo non arriva a decifrare. Arriva solo il cuore a dirmi che là in fondo è un umido irrisolto, pensieri accatastati che evaporano e riformano, cercando inutilmente spazi chiari, dove le sillabe possano acquietarsi in ordinate file di parole”.
Tu sapresti l’intensità oscura del dolore e con voce materna -di madre che diventa tale per scelta e non dovere- levigheresti gli spigoli pulsanti, che fanno e disfano continuamente il cuore.

Adesso invece è soltanto un riandare tra la costante assenza -sperduta Ulisse che non cerca onori- pensando che accadono le cose perché così dovevano accadere o perché il caso decide di giocare, sovvertendo regole che la memoria è inutile che impari.
Rimane il dubbio e lo vorrei risolto, ma quale verità è ormai da preferire se ogni verità non cambia comunque lo stato delle cose? Scegliessi labiali o palatali, cesellando la forma o la struttura, mi rimarrebbe sempre e soltanto il solitario svolgersi di un suono, riflesso in un silenzio che sa di pianto e d’abbandono.
Per questo ti parlo col pensiero e non mi sento sola.
Sai, Gina, ti dico morta quando racconto di te agli altri, ma è soltanto l’abusato modo per far capire loro che nella vita di ogni giorno più non t’incontro. Dentro me invece non manco ai nostri appuntamenti -quante risate per queste vie di Reggio, stagioni su stagioni a ridere e parlare-. No, non manco mai al consueto ritrovarci insieme, io e la tua assenza, in un dialogo che a volte riduce in frammenti il cuore, e tuttavia spesso mi consola della nostalgia che ho di rivederti.
Dicono che la vita non finisca e che in forma di luce muti la sua essenza, io però in questo labirinto continuo a non scoprire uscita, eppure se davvero ci sarà un risveglio vorrei trovare te -che di sorridente madre avevi il cuore- paziente come sempre ad aspettarmi.

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