Tropea: regina del mare e delle spiagge luglio 2002


Nonostante i notevoli e incoscienti sforzi umani per deturparla, la Calabria rimane una regione magnifica: la costa ionica con le sue lunghe e bellissime spiagge, le rovine magnogreche e il microclima; l’Aspromonte impervio e boscoso; la costa tirrenica con le incantevoli insenature sabbiose, ritagliate tra le scogliere. Doni profusi a piene mani, come recita l’inizio di un passo di Leonida Répaci: “Quando fu il giorno della Calabria, Dio si trovò in pugno 15.000 chilometri quadrati di argilla verde con riflessi viola. Il Signore promise a se stesso di farne un capolavoro…”.
E su uno dei suoi mille luoghi suggestivi ci fermiamo: Tropea, la Bella, la Misteriosa, dalle origini sconosciute. Chi la dice edificata come “trofeo” per la vittoria di Sesto Pompeo su Cesare Ottaviano; chi invece fa derivare l’antico nome di “Trophea” dai trofei che Scipione portò dall’Africa dopo le sue vittorie, e c’è chi invece la lega al culto della dea Giunone, conosciuta pure come tropea, cioè nutrice. Anche se le sue origini sono molto antiche, la sensazione più forte è però quella di ritrovarsi a tratti in epoca rinascimentale e a tratti in epoca barocca, grazie agli splendidi portali che ornano i palazzi nobiliari di questa incantevole cittadina. I portali sono un elemento architettonico caratteristico così come gli stemmi marmorei, e le maschere apotropaiche che allontanano gli influssi malefici dall’abitazione.
Alcune di queste antiche dimore sono state divise internamente per ricavarne piccoli appartamenti da vendere o affittare durante il periodo estivo. In uno di questi, ospite della mia amica Kery, ho trascorso alcuni giorni: il palazzo era del 1734, con un portale di gusto barocco, composto da bugne a cuscino alternate a bugne a doppi diamanti; lateralmente, uno dei balconi era sorretto da tre maschere “antimalocchio”. Dalla parte opposta della strada c’era invece un imponente palazzo del 1721, con un bellissimo portale in stile barocco-rococò, con i battenti a forma di sirena.

Bella anche la vicina piazzetta, pavimentata di blocchi lavici e adorna di vecchi lampioni, che attraversavo per scendere al mare, lungo una stretta scalinata addossata alla roccia. Naturalmente al mare si può arrivare con la propria macchina o prendendo le navette che fanno la spola tra il centro e la spiaggia, ma io preferivo le scalinate che, chissà perché, mi suscitano un senso di libertà.
Una sensazione poi del tutto particolare mi avvolgeva nel fare il bagno ai piedi della rupe sulla quale sorge Tropea: la sabbia bianca e fine, l’acqua tersa, color smeraldo, la rupe imponente e protettiva, come se fosse ancora tempo di pirati e al primo accenno di pericolo si potesse correre là in alto, al riparo; tutto contribuiva all’idillio del luogo.
Fantasia troppo fervida, forse, e non solo perché non è più tempo di pirati, ma perché i pirati, nonostante la rupe, occuparono più volte Tropea e i paesi vicini. Infatti, sulla facciata del Comune è posta una targa in marmo che commemora i fratelli Paolo e Pietro Vianeo, fondatori di una scuola di chirurgia specializzata in rinoplastica; una scuola nata perché, oltre a rapire le donne per i loro piaceri, e a rapire i giovani per metterli ai remi, i pirati (i più noti per la loro crudeltà erano l’algerino Khair-ad-din, detto il Barbarossa e il turco Dragut) erano soliti tagliare il naso dei cristiani. I geniali fratelli Vianeo furono i primi, fatto stupefacente per l’epoca, a trapiantare sul naso lembi di pelle, tolta dal braccio, alle vittime di questa atroce mutilazione. Certamente non saranno state operazioni riuscitissime dal punto di vista estetico, visti anche gli strumenti chirurgici del periodo, ma è indubbio che per quel tempo costituivano una preziosa novità. Restando nei pressi del Comune, a pochi metri dal palazzo c’è un belvedere che a qualunque ora del giorno offre uno spettacolo stupendo, impreziosito dal santuario benedettino di Santa Maria dell’Isola, che sorge anch’esso su una piccola rupe. Il nome Isola deriva dal fatto che la roccia su cui sorge era un tempo circondata dal mare, invece oggi è unita al continente da un lembo di terra. 

Da non dimenticare, oltre alle chiese con pregevoli altari, quadri e bassorilievi, è anche una visita al museo degli antichi mestieri, opera di un artigiano che ha ricostruito con arte e amore i lavori quotidiani del popolo: pescatori, contadini, pastori, donne che impastano il pane, accudiscono gli animali o cuciono materassi, si muovono meccanicamente, circondato ognuno dal proprio ambiente, ricostruito in ogni minimo dettaglio.

 Tropea è davvero bellissima, anche se la preferisco di notte o alle prime luci dell’alba, prima che aprano i tanti piccoli negozi, tipici di una cittadina che negli anni ’70 ha conosciuto un improvviso sviluppo turistico. Di notte, invece, tra le stradine strette e silenziose si perde la cognizione del presente. L’antico Duomo con la facciata laterale di pietre segnate dall’usura del tempo, la luna, i belvedere deserti, le scalinate sinuose, l’imponenza severa delle dimore patrizie, il rumore delle onde che si frangono sulla spiaggia ai piedi della rupe e il verde scuro e silenzioso delle colline intorno, contribuiscono a suscitare, nell’animo disposto ad assecondarla, l’illusione di essere tornati indietro nel tempo.

Un particolare importantissimo è che Tropea ha riconquistato le “cinque vele”, il numero più alto nella classifica di Legambiente-Tci per quanto riguarda i migliori centri balneari d’Italia. Tropea, quindi, anche Regina del mare.

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