Fra i tanti tesori della Calabria, ce n’è uno che stupisce il cuore, e proprio per questo difficile da descrivere perché quando il cuore si stupisce è un passo in più che ci avvicina al divino: un’emozione che ognuno dovrebbe provare visitando il Sacro Monastero greco-ortodosso di S. Giovanni Theristìs (Mietitore), nel territorio del Comune di Bivongi.
Guida la mia amica Simona, esperta e prudente; questo però non attenua la tensione che mi prende alla gola mentre la macchina si arrampica lungo i pericolosi tornanti che portano al monastero. Arrivate in cima si apre un piccolo pianoro dove posteggiamo, e la tensione si scioglie in meraviglia perché siamo avvolte da un coro di voci armoniose che, portato dall’aria limpida del pomeriggio, si spande nello spiazzo deserto.
A una cancellata di legno sono appoggiati scialli scuri: scopriremo il loro significato quando, dopo un quarto d’ora, arriveranno altri visitatori. Un cartello ingiunge di rispettare il silenzio, ma in quel momento è superfluo perché la magia del pianoro, sul quale s’innalzano le rovine del monastero, è tale che non si ha voglia di sciupare con le parole la sacralità del luogo. Seguiamo quindi in silenzio il canto delle voci maschili che ci guidano all’interno della basilica dalle antiche mura dirute, dove si sta celebrando il rito, giunto alla fine. Infatti il coro si spegne e tre monaci escono dal piccolo interno.
Uno di loro è il battagliero padre Kosmas che si avvicina chiedendo se siamo turisti o visitatori. Per fortuna, rispondiamo “visitatori”, così ci accoglie con un sorriso di benvenuto. E, sempre per fortuna, siamo vestite con pantaloni lunghi e polo a mezze maniche, perché di lì a poco arrivano in visita due famiglie che conosceranno l’intransigenza di questo monaco dalla folta barba brizzolata e dai capelli lunghi, proveniente dalla Repubblica monastica di Monte Athos, in quella Grecia così somigliante alla nostra terra.
Le signore, che indossano magliette con le bretelle, vengono rispedite alla cancellata per coprire con gli scialli le spalle nude; uno degli uomini, in pantaloncini, viene escluso dalla visita, e sarà perdonato soltanto quando si coprirà anche lui con uno scialle annodato in vita. Rilassato e sorridente, padre Kosmas è ora disponibile a raccontare la storia della basilica che risale alla fine dell’XI secolo, e che è stata però costruita su un precedente luogo di culto, del quale rimane ancora qualche traccia. I tre asceti sono arrivati nel 1994, e non avevano neppure un letto per dormire, ma da Bivongi sono partiti gli aiuti e adesso i monaci, pur vivendo frugalmente in cellette disadorne, sono collegati con tutto il mondo grazie al telefono e al computer. Lo stile di vita rimane comunque quello di religiosi che hanno scelto di isolarsi per affinare la loro vita interiore e intessere un dialogo profondo con Dio che, davvero, in questo paesaggio silenzioso, di boschi e di roccia, con il mare giù in fondo di un azzurro luminoso, sembra più vicino all’uomo.
La breve visita si conclude perché è quasi il tramonto. Infatti, oltre al giusto obbligo di indossare abiti adeguati e di rispettare il silenzio, c’è un orario da osservare che nel periodo dall’1 luglio al 15 settembre è: tutti i giorni feriali dalle 17 al tramonto; festivi dalle 10 alle 12, e dalle 17 al tramonto.
La storia di questi luoghi è così ricca e il paesaggio così vario, a tratti dolce, a tratti imponente nella sua asprezza, che non basterebbe l’intero giornale a svelarne le mille bellezze. Ricordo una notte di alcuni anni fa. Tornavamo da una cena con un gruppo di amici da Pazzano, un piccolo paese confinante con Stilo.
La strada era buia, e io non so descrivere la magnificenza che ci si spalancò davanti agli occhi appena ci lasciammo alle spalle le luci del paese. L’aria buia della notte in alto spariva, ricoperta da un mare di stelle: stelle che si univano in cerchi, che si snodavano in archi, stelle disposte in rombi e triangoli, alcuni splendenti solo nel perimetro, altri pieni di stelle rilucenti all’interno. Sembrava di poter allungare la mano e tirar giù un pezzo splendente di cielo, mentre l’animo fluttuava tra l’orgoglio di far parte di quello scenario e la consapevolezza che in quello scenario tu non eri che un soffio, spettatore temporaneo nell’universo senza tempo.
Qui è nato Tommaso Campanella, e se fosse nato in un altro luogo sarebbe stato egualmente grande, ma nessuno mi toglie dalla testa l’idea che proprio questi paesaggi storici e naturali abbiano contribuito a formare il suo pensiero ribelle e utopico. Posso vederlo, giovane dapprima, e poi, dopo prigione e torture, maturo frate domenicano, camminare in quel borgo stupendo che doveva essere Stilo nel sedicesimo secolo con la Cattolica, il vicino monastero di S. Giovanni Theristìs, le rovine magnogreche dell’antica Kaulon, con il monte che incombeva alle sue spalle, davanti la vallata, attraversata dal fragore dell’acqua nella stagione delle piogge, in lontananza il mare e, sopra di lui, in chissà quante notti come quella che io avevo visto, il cielo superbo di stelle.