Questo è il secondo gioco letterario, un racconto composto con titoli di libri, pubblicato nel 2009 sulla rivista Cortocircuito, diretta da Sandro Montalto e inaugurata da un lavoro di Umberto Eco. L'elenco dei titoli si può trovare su Internet
-Ma insomma, Giovanni, vai ad aprire, c’è gente che bussa alla porta!- sbottò Clotilde, entrando nella camera con vista sul giardino, dove suo marito stava leggendo il romanzo che aveva appena terminato di scrivere.
-Aspetti la visita di qualcuno?- aveva domandato lui, senza neppure alzare gli occhi.
-Io no.
-Allora sarà il postino.
-Non è lui, il postino suona sempre due volte, e anche se fosse non vedo perché devi lasciarlo dietro la porta- sbuffò Clotilde, pensando che non sopportava più la lentezza di suo marito, e nemmeno le sue sigarette, la cenere sul tappeto e la sua amata scrittura.
-Non c’era nessuno- aveva detto Giovanni, ritornando dopo pochi minuti.
-Qualcuno alla porta c’era di sicuro, ma tu ci hai messo mezz’ora ad aprire!-esclamò la moglie, posando i fiori blu, che aveva raccolto a piene mani.
-Chi vuole torna- aveva risposto lui, laconico.
-Nessuno torna indietro, specie se tu non apri, e se abiti lontano- aveva puntualizzato Clotilde, pulendosi la mano sporca di terra.
-Ti ricordo che la casa in collina sei stata tu a volerla, e poi di sicuro v… - Giovanni si era interrotto d’improvviso, battendosi una mano sulla fronte. -Accidenti! Mi sa tanto che era il venditore di libri usati di fantascienza. Gli avevo detto di passare l’altra sera a portarmi i tre libri che doveva procurarmi e invece sarà venuto oggi.
-Meglio, così la finisci di portarmi in casa roba usata da chissà chi!
-Ma se tu vai in giro per la città a cercare mobili usati!
-Però li faccio restaurare, quello lì invece ti vende schifezze piene di batteri. E quali sarebbero poi questi libri?
-Uno è “L’elenco telefonico di Atlantide”- aveva cominciato a dire lui, ma si era fermato vedendo un certo sorriso incresparle le labbra.
-Non per fare polemica, però non credo che ad Atlantide ci fossero i telefoni. Comunque, per curiosità, quali sono gli altri?
-Guarda, non te li dico perché è tempo perso: non capisci niente e quindi non vale la pena parlare con te, e poi tu saresti capace di blaterare per ore sul significato della fiamma di una candela o sopra il sesso delle ciliegie, figurati se dovessi dirti gli altri!
-A parte il fatto che rispondi come un cafone, vorrei ricordarti che partire per la crociera no, però i soldi per i libri li spendi!
-E già, perché il prezzo è lo stesso!
-Ho sposato l’avaro per antonomasia!
-Ne ho abbastanza! Fai silenzio! Non dire una parola di più o mi arrabbio.
-Va bene, va bene, non c’è bisogno di alterarsi, non dico più niente, dico solo che avevano ragione i miei genitori quando sostenevano che una ragazza di buona famiglia deve stare attenta a chi sposa.
-Oh, oh! Ha parlato la principessa sul pisello!
-Hai forse qualcosa da ridire?
-Mmmh!
-Rispondimi, invece di mugugnare.
-Guarda, Clotilde, che ogni limite ha una pazienza!
Sua moglie l’aveva guardato con la sorpresa dipinta sul volto, poi era scoppiata a ridere dicendo: -Ma dai, parli come Totò!
Giovanni era rimasto sconcertato, poi il riso l’aveva sopraffatto.
-Va bene, facciamo pace- le aveva detto ancora ridendo. -Ti porto fuori a cena.
-Ti avverto però che io allo snack bar Budapest a mangiare popcorn, hamburger e polpette, non ci vengo!
-Ma no, questa volta andremo al Miramare, un ristorante che hanno aperto qui vicino, in via del Giacinto. È un luogo dove non sono mai stato, però mi hanno detto che si mangia benissimo. Anzi se vuoi invitiamo anche Fausto e Anna.
-No, partiranno domani prima dell’alba, per un viaggio in Portogallo.- aveva risposto Clotilde, calcando la voce alla fine.
-Abbiamo fatto la pace- le aveva ricordato Giovanni. -Su, andiamo a prepararci.
-D’accordo, mettiamoci una pietra sopra e usciamo. Però indossa la camicia bianca e la cravatta con i fiori giapponesi che ti ha regalato mia madre.
-Sì, quella comprata al mercatino con i saldi d’autunno- aveva bofonchiato Giovanni.
-Ti ho sentito, sai? L’importante non è il regalo, ma i pensieri gentili che la gente ha per te. Piuttosto, vedi che dobbiamo andare con il taxi perché la macchina ha due ruote bucate.
Giovanni sospirò con occhi rivolti al cielo, ma chiamò la compagnia senza recriminare.
Dopo pochi minuti un tassì color malva li lasciò all’entrata del ristorante.
-Benvenuti in questo ambiente- disse il proprietario, guidandoli al tavolo.
Arrivò subito un cameriere e, con l’aria da cerimonie, iniziò a sciorinare un ricco menu. Giovanni lo interruppe con un breve gesto.
-Mi dica, dottore- chiese il cameriere.
-Come primo vorremmo la specialità della casa e altre storie no, soltanto il riso nero al sugo di agnello, e di secondo la fiorentina. E che sia carne fresca.
-Sì, certo. Come vi piace la carne, cotta o proprio al sangue?- chiese il cameriere.
-Per me al sangue- rispose Giovanni- e, per contorno, insalata russa.
-Per me senza sangue- precisò Clotilde.
-La signora gradisce un contorno?
-No, però vorrei anche la polenta con gli uccellini e del pane nero.
-I signori hanno preferenze sull’acqua?
-Effervescente naturale- risposero tutt’e due.
-Scusate, dimenticavo il nostro vino- aveva aggiunto il cameriere. -Abbiamo la vigna di uve nere, che produce un ottimo rosso.
-Sì, per noi va bene.- acconsentì Giovanni.
-Qui ti prendono per la gola- aveva detto Clotilde, mentre il cameriere si allontanava. -Fegato qua, fegato là, fegato fritto e baccalà alla vicentina con la cipolla, e l’anatra messicana, il cinghiale in agrodolce, il tacchino farcito e la lepre in salmì: tra sughi e fritti sono almeno novecento calorie a boccone!
-Ma dai!- aveva riso Giovanni. -Tutte le volte all’ora di pranzo e di cena fai storie, cominci a declamare le virtù della verdura e della frutta, fai l’elogio della zucca, però poi ti fai una mostruosa abbuffata.
-Ma smettila, e passami il sale, per favore.
Mangiarono con gusto, riprendendo la conversazione tra una portata e l’altra.
-Il riso era proprio squisito- disse Giovanni alla fine della cena.
-Sì, aveva un buon profumo di timo, ma io avrei messo più sale e zafferano.
-Vedi che ti è rimasto il sale sulle labbra.
-Grazie- disse Clotilde, pulendosi con il tovagliolo, attenta a non togliersi il rossettto, e bevendo poi le ultime gocce di vino.
Giovanni fece un cenno al cameriere, che si avvicinò chiedendo:
-I signori desiderano un cesto di frutta e altre piccole dolcezze?
-Gli esagerati che siete!- stava per dire Clotilde, ma si trattenne, limitandosi a ordinare delle prugne.
-Ne abbiamo di ottime- rispose il cameriere -questo è stato davvero un buon anno per le prugne e anche per il ribes. E per lei, signore?- aggiunse, rivolto a Giovanni.
-Io vorrei soltanto un caffè molto dolce, e il conto, grazie.
Quando il cameriere fu di ritorno, Clotilde sussurrò:
-Controlla bene tutte le voci, che non succeda come con il conto dell’ultima cena quando abbiamo pagato a caro prezzo. Con l’euro, quello che costava diecimila lire adesso quasi te lo triplicano e te lo fanno pagare lire 26.900, e quindi non ti accorgi nemmeno degli errori.
-Va tutto bene- disse Giovanni dopo un’attenta lettura -i conti tornano, possiamo andare
-Passeggiamo un po’?- propose Clotilde quando furono all’aperto. -È una bellissima serata- aggiunse -mi piacerebbe camminare con te sotto le stelle.
-Anche a me, si avverte il profumo del mosto selvatico- disse Giovanni, inspirando con gusto una boccata d’aria. -È davvero un bellissimo novembre.
Camminando nell’aria della sera verso casa, Clotilde si fece pensosa.
-Che cosa c’è?- le chiese Giovanni.
-Non so, noi qui fugaci come stelle cadenti… o forse è questo cielo che mi suscita un senso di bellezza e tristezza e che mi fa chiedere dov’è andato l’amore. Tu dici che bisogna saper ascoltare le parole del silenzio, però a volte mi tormenta il dubbio che tra noi due ormai l’amore è una parola e niente più. Ci sono giorni in cui è come se io non ci fossi, mi sembra che con me o senza di me per te sarebbe lo stesso.
-Ma no, tesoro- aveva detto Giovanni, fermandosi e guardandola. -Anch’io a volte mi sento incompreso, però insieme abbiamo trascorso metà della vita ed è normale che tra mariti e mogli capitino dissapori. Tu non dimenticare mai che ti ho sposata per amore, solo per amore.
-Ah, sì? E allora, se il buongiorno si vede dal mattino, perché nessuno mi porta la colazione a letto?- aveva detto Clotilde con tono scherzoso.
Giovanni era scoppiato a ridere.
-Giusto. Da oggi in poi la colazione te la porto io oppure andiamo a colazione da Tiffany. E sai perché? Guarda, sarò sincero: quella dolce follia, che nel 1984 mi ha spinto a sposarti, si è trasformata in una quieta felicità, però, anche se non c’è più la furia amorosa di un tempo, tu sei tutto quello che mi sta a cuore.
-Vuoi dire che con me sei stato felice, Giovanni?
-Lo sono stato e lo sono ancora- aveva risposto lui con affetto. -E sai una cosa?- aveva aggiunto, passandole un braccio intorno alla vita e riprendendo il cammino -Per me il destino si chiama Clotilde.
-Davvero non ti sei mai pentito?
-Mai, gioia mia, davvero.
-Però ho una spina nel cuore: forse a causa mia non ti sei potuto dedicare con tutta l’anima alla scrittura, e così ti arrivano quelle odiose lettere di rifiuto con su scritto: siamo spiacenti di… eccetera eccetera.
-Non è un problema, in cambio ho un matrimonio felice.
-Davvero non avresti voluto una vita diversa?
-No, mi piace la vita tranquilla che ho.
-E dimmi che mi ami.
-Ti amo, moltissimo.
-Sai, per me conta questo sopra tutto. Un amore sereno a volte è meglio del sesso focoso di quando eravamo giovani, perché la passione ti tormenta con la paura che possa finire, invece l’amore è una cosa meravigliosa, che ti fa star bene dentro.
-Ehi, non è che questo è un modo per dirmi che vuoi farmi mancare la gioia del sesso!
-Ma no, stupidone, io ho avuto un solo grande amore: tu. E ancora oggi sei l’uomo dei miei sogni, però d’ora in poi parliamo di più e ricorda anche di dirmi più spesso che mi ami.
-Sai che cosa mi piace di te? Che a volte sei una donna scomoda, però sai anche essere dolce come il cioccolato.
-E tu sei la mia fortuna e la mia felicità- sorrise Clotilde, appoggiandogli la testa sulla spalla.