La Costa Ionica: Pazzano, il santuario di Santa Maria del Monte Stella


Ci sono luoghi che regalano emozioni contrastanti nello spazio di pochi metri: uno di questi è Monte Stella. Vi si arriva salendo dalla statale jonica, all’altezza di Monasterace, verso Stilo, uno dei nostri borghi antichi più belli. Da Stilo, dopo aver visitato la Cattolica -chiesetta bizantina che non ci si stanca mai di rivedere- si prosegue per due chilometri fino a Pazzano, un piccolo paese racchiuso tra Monte Stella e il Consolino.
Pazzano è ben tenuto, ha piccoli vicoli sormontati da archi in pietra, una bella piazza alberata, la chiesa di Maria SS. dell’Assunta risalente al 1783 e la Fontana Vecchia del 1760, da dove, per chi ama camminare, si apre un sentiero che erto serpeggia fino alla sommità di Monte Stella.
Legata alla religiosità del luogo, la leggenda narra di marinai che mentre trasportavano su una nave la statua della Madonna furono sorpresi da una tempesta e  ripararono a Monasterace; sopravvenuta la calma, non riuscirono però a riprendere il largo. Vedendo una luce rifulgere dalla nave sino alla cima del monte intuirono l’indicazione divina e caricarono la statua sulla groppa di un vitello che salì lungo un sentiero sul quale sono rimaste impresse le orme degli zoccoli. Il cammino fu ostacolato dal demonio che però venne sconfitto dalla Vergine, la cui statua potè così essere collocata sul monte.  
A guidarmi in questa breve gita sono Annina e Sandro, amici che qui sono nati. Per Sandro, Pazzano è il suo luogo dell’anima e per fermarne la memoria ha raccolto in un libro di racconti le emozioni, gli amori e i sapori dell’infanzia. Uno dei racconti s’intitola proprio Montestella, sulla cui cima “spicca un eremo composto da un austero convento, una chiesa disadorna e una enorme grotta naturale, ricavata nel calcare, stupenda come un’ostrica con dentro la perla d’una statua di Madonna bianca … per centinaia d’anni, le notti del quattordici e quindici agosto risuonavano dei canti e dello scalpiccio, spesso scalzo, di centinaia di pellegrini oranti, che, dai paesi circostanti, anche distanti trenta o quaranta chilometri, si recavano al santuario, carichi di speranze, voti, malattie, o semplicemente per evadere, rompere per uno o due giorni la pesante sequenza delle fatiche quotidiane”.

L’eremo, pur se sciupato da moderni lavori di restauro, conserva ancora l’austerità descritta da Sandro e dona un senso d’infinito e di profonda quiete quando da lassù lo sguardo abbraccia la vallata dello Stilaro e gli ondosi campi coltivati giungendo fino all’orizzonte, dove cielo e mare si confondono in un vaporoso azzurro. Basta poi percorrere un paio di metri e la sensazione di pace si trasforma in un intenso respiro di mistero all’aprirsi dell’altissima grotta che fende la roccia, dove è racchiusa la piccola chiesa con la statua della Madonna in marmo bianco, opera del Cinquecento, proveniente sembra dalla bottega artigianale del Gagini. Nella grotta, dall’umida volta striata da diversi colori, abitavano nel secolo VIII i monaci basiliani. Tra stalattiti, e gocce d’acqua che a ritmo lento e continuo sgorgano dalla roccia, le pareti ancora conservano antichi affreschi bizantini, alcuni ricoperti da una lastra di plexiglas perché l’umidità li ha già deteriorati in molti punti. Bellissimo è quello che raffigura la Comunione di S. Maria Egiziaca, posto nella parte superiore; questa immagine, che è la più antica dell’Italia meridionale, databile al IX-X secolo, ha fatto nascere negli studiosi l’idea che nella grotta esistesse un eremo femminile. Di lato a un affresco, in basso nella parete di sinistra, si apre un cunicolo, dove s’inoltravano gli eremiti per i loro riti penitenziali. Sandro, che da bambino vi è entrato con altri compagni -in una delle classiche sfide dei ragazzini per dimostrare il proprio coraggio- mi ha detto che alla fine della stretta apertura, lunga qualche metro, c’è un piccolo inginocchiatoio scavato nella roccia.
Un altro aneddoto riguarda invece un mistero che si cela alla base dei numerosi gradini che portano all’interno della grotta: un anziano signore racconta che da bambino ha visto nel pavimento, adesso ricoperto, una grande cavità semicircolare, dove, come nella famosa Cripta dei Cappuccini a Palermo, riposavano seduti i resti mummificati degli antichi monaci.
Dalla grotta principale, attraverso una breve galleria, si entra in una grotta piccola che sbuca sul fianco meridionale del monte in uno spiazzo delimitato da un parapetto in legno. Poco più in alto, tra la tipica vegetazione mediterranea, una magnifica pineta, opera dei forestali, offre profumo di verde e silenzio per chi in estate vuole trovare refrigerio all’ombra degli alberi.

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