A volte, tra problemi e doveri, le nostre giornate diventano un cumulo di ansie e preoccupazioni. Per riequilibrare la mente si può staccare il telefono e restare in solitudine oppure immergersi nella natura o ancora visitare luoghi sacri dove, credenti o no, la spiritualità che vi aleggia rasserena l’animo. Il Santuario di San Francesco di Paola, in un giorno vuoto di pellegrini, è uno di questi luoghi. Per chi viene da sud ed esce dall’autostrada a Falerna, la strada litoranea offre a sinistra il morbido incanto del mare e di larghe spiagge e a destra l’aspra bellezza della nuda roccia, a tratti ammantata di verde. Anche il Santuario è immerso nel verde e da lassù lo sguardo spazia sul vasto azzurro del Tirreno in quell’unione di colori luminosi e contrastanti che costituisce il particolare fascino di molti nostri paesaggi.
Sul piazzale del Santuario si affacciano due basiliche: dalle linee stilizzate la nuova, calda quella antica con la facciata in tufo del XVIII secolo; l’ingresso principale, sulla destra, presenta un severo portale in pietra di forma ogivale con tracce di motivi gotici, romanici e rinascimentali. Sopra il portale vi è una lunetta con un affresco del Cinquecento deteriorato in più punti e raffigurante l’Assunta; in fondo alla navata minore si trova la cappella del santo, sormontata da una cupola rivestita con marmi policromi, che racchiude alcune preziose reliquie in teche protette dal vetro, tra le quali spiccano il saio e i sandali di San Francesco.
Lungo il percorso della zona dei prodigi s’incontrano la grotta della penitenza; la sorgente fatta sgorgare dal santo e chiamata cucchiarella, la cui acqua ritenuta benefica mantiene sempre lo stesso livello; la fornace, chiusa da una grata di ferro, da dove si narra che il santo estrasse dalle fiamme le ossa del suo agnellino Martino per ridargli vita: profonda testimonianza di fede nelle sue virtù taumaturgiche. Sulle pareti del silenzioso corridoio, che attornia il chiostro dalle arcate decorate da capitelli moreschi, affreschi sbiaditi dal tempo raccontano momenti della vita di San Francesco: alcune delle guarigioni che operò, la traversata dello Stretto di Messina sul mantello, il sangue che fece sgorgare da una moneta d’oro come severo richiamo al re Ferdinando perché governasse in modo più giusto, la nascita a Paola con una veduta della cittadina del 1416, la morte avvenuta nel 1507 e la sua beatificazione ad opera del pontefice nel 1519, a soli dodici anni dalla scomparsa, segno che la fama del frate taumaturgo si era consolidata già durante la lunga vita.
Ma la parte più affascinante, che parla al cuore, è quella più antica della costruzione voluta da Francesco nel 1435, in onore di San Francesco d’Assisi, il santo al quale i genitori l’avevano promesso in voto sin dalla nascita. Qui si scende, attorniati dagli antichi muri in pietra sorretti da travi di legno, in minuscole stanze spoglie: l’oratorio e la stanza delle penitenze, dove l’inginocchiatoio è scavato nella roccia; in un angolo, poggiata su una colonna, è conservata la pietra della guarigione, toccata da mani in cerca di speranza. In questo ambiente austero tutto riporta all’autenticità della profonda vocazione dei primi frati che si raccolsero attorno al santo, conducendo vita quaresimale.
Accanto al Santuario, sulla sponda sinistra del torrente Isca, sorge il Collegium Minimorum, costruito in parte su un grande arco sotto il quale l’acqua fluisce con uno scroscio leggero che si trasforma in frastuono quando le piogge invernali rendono tumultuoso il suo scorrere. Si può scendere fino al torrente seguendo comodi sentieri, dove, sui muretti che li delimitano, i visitatori siedono a riposare tra il verde e il silenzio. Anche qui continuano i segni dei prodigi operati da San Francesco, infatti alla base della salita chiamata la Pietra del miracolo vi sono grandi massi lisci che, si narra, rotolarono dalla montagna minacciando di travolgere tutto, ma furono fermati da un suo gesto.
Nel 2007 ricorrerà il quinto centenario della morte di San Francesco di Paola e l’Ordine dei Minimi ha già in corso i preparativi per festeggiare l’evento, coinvolgendo le scuole calabresi con lo scopo di far conoscere ai giovani l’aspetto umano del nostro taumaturgo, che si schierò sempre dalla parte dei derelitti. In occasione dei festeggiamenti religiosi prenderà l’avvio anche un progetto, ideato da De Tommaso, che riguarda la realizzazione di nuove strutture turistiche, il recupero di beni storici e l’organizzazione di eventi musicali e culturali. A celebrare il quinto centenario sarà anche un film televisivo, scritto da Antonio Cannone e Francesco Caligiuri, e diretto dal regista Ninì Grassia, che ripercorrerà la vita del santo, ricostruendo le misere condizioni della Calabria del Quattrocento. Una Calabria martoriata da guerre e carestie, soffocata dalla prepotenza nobiliare contro la quale Francesco lottò, come si legge in alcuni passi della lettera che inviò all’amico Simeone dell’Alimena: … non l’empietà, quale continuamente usano contro povere persone, vedove, pupilli, stroppiati e simili persone miserabili, quali di ragione devono essere esenti di ogni gravezza. Guai a chi regge e mal regge … guai alli Ministri della Giustizia, che li è ordinato far giustizia e loro fanno tutto altro! Questo profondo senso della giustizia, che sempre lo accompagnò, è ricordato in particolare dall’affresco della moneta: quando il re Ferdinando d’Aragona gli offre monete d’oro per la costruzione di un convento, il Santo, rifiutandole, ne spezza una dalla quale sgorga sangue, il sangue dei sudditi ridotti in miseria dal governo vessatorio di re Ferdinando.
Guardando l’affresco, la mia amica Mimma, battagliera sindacalista e fervente cattolica, ha esclamato orgogliosa: “Ecco il primo sindacalista della storia”. Giusto, mi sono detta, e visto anche che Francesco venne proclamato santo il primo maggio, potrebbe diventare il santo patrono proprio dei sindacalisti, che sembra non ne abbiano alcuno.