Dicono i vecchi del luogo che, un tempo, nelle grotte di Tremusa vi fossero sedili e tavole di pietra e grandi statue, tutto scomparso a causa di saccheggi perpetrati in varie epoche. Una storia che lascia un po’ dubbiosi, data la non grande ampiezza delle grotte, ma forse, se il toponimo Tremusa deriva da Tre muse, è possibile che nella grotta più grande esistessero tre statue di donna. Comunque è vero che i depositi calcarei, creati dal continuo gocciolio dell’acqua dalle umide volte, favoriscono la fantasia; infatti, racchiuso tra due colonnine muschiose, alla mia amica Mariagrazia è sembrato di riconoscere un guscio di tartaruga gigante priva di testa, e l’abbiamo visto anche io, suo marito Roberto e il dottor Agostino, un anziano signore che, pur accompagnandoci volentieri, non si è neppure avvicinato all’entrata della grotta più grande, memore di una bruttissima esperienza. Circa trent’anni fa era andato alle grotte con un gruppo di amici e, curioso di conoscerle meglio, si era avventurato lungo uno dei tanti cunicoli, legandosi una corda al piede destro. Il cunicolo si apriva su una stanza, da dove, attraverso un altro cunicolo si sbucava in un’altra e così via -si dice che le grotte arrivino fino a Cannitello, ma non ne esiste la certezza-. Nella fiaba di Pollicino erano gli uccelli a mangiare le briciole di pane con le quali Pollicino segnava la strada del ritorno per non perdersi nel bosco, nella storia del dottor Agostino è stata invece la fretta a non fargli annodare bene la corda, che si è sciolta dalla caviglia senza che lui se ne accorgesse, per cui si è ritrovato, stanza sotterranea dopo stanza, nelle viscere della terra. Terrorizzato e circondato da cunicoli, non riusciva più a distinguere la strada per tornare indietro. Il caso e le voci degli amici l’hanno aiutato, ma da allora non si è mai più avvicinato a una grotta.
Roberto, invece, è entrato tranquillamente anche in una delle grotte piccole, pur avendo vissuto anni fa una brutta esperienza. Insieme ad altri giovani del CAI si era avventurato in un’esplorazione delle grotte, anche lui legandosi una corda al piede, però molto grossa, e con un nodo ben fatto, tipico di chi si diletta di escursioni. Dopo aver strisciato lungo vari cunicoli, in uno di questi era rimasto incastrato. Non potendo proseguire, aveva pensato di tornare indietro, sempre strisciando, ma per far questo bisogna sollevare di pochi centimetri il fondoschiena, operazione impossibile per mancanza di spazio, per cui si era messo a urlare aiuto e i compagni l’avevano disincastrato tirando con forza la corda.
Quindi attenzione a non infilarsi mai in alcun cunicolo. Meglio è ammirarli a distanza, infatti le grotte sono tutte bucherellate da questi stretti passaggi che, insieme alle stalattiti e stalagmiti calcaree di diversi colori e alle volte tempestate di bianchi depositi conchigliferi del Pliocene, creano un ambiente affascinante e misterioso.
Alle grotte di Tremusa -conosciute anche come grotte della Lamia o come grotte di Tremisi- immerse nella flora mediterranea e ricoperte di muschio, siamo arrivati in una mattina soleggiata: un paesaggio multicolore, dove si può anche sostare per una colazione perché ci sono due grandi panche con i sedili in legno. La macchina si può posteggiare alla fine della strada, in uno spiazzo deturpato, questa volta per necessità, da un impianto di sollevamento di acque potabili.
La strada per arrivare a queste meraviglie è semplicissima: si sale a Melia di Scilla in circa trenta minuti (Melia è un paesino silenzioso a pochi chilometri dal mare e dalla conosciuta stazione sciistica di Gambarie d’Aspromonte), pochi metri prima della piazzetta del paese -dove c’è il Monumento ai caduti in guerra, opera dello scultore scillese Carmine Pirrotta- si svolta a sinistra seguendo la segnaletica che indica le grotte. Si arriva a una grande costruzione gialla sulla sinistra e appena la si supera si svolta subito a destra, imboccando la “via Grotte”. Dopo circa ottocento metri di strada stretta e in discesa, appariranno sulla sinistra le grotte: imperdibili.
Per chiudere ancora in bellezza questa passeggiata bisogna scendere da Melia verso Scilla. Tra piante lussureggianti si aprono scorci di mare e dove la strada si allarga ci si può fermare e godere di un panorama unico: immerse nell’azzurro del cielo e del mare, appariranno a sinistra la costa siciliana con il pilone e uno dei due laghetti di Ganzirri, al centro la rupe di Scilla con il castello e a destra l’imponente rupe di Sant’Elia, accessibile soltanto dal mare.